Chi è “l’altro”? di chi si parla?
Per parlare di “Altro” bisogna partire prima dal gruppo: l’individuo sin dalla preistoria ha sempre vissuto in gruppi, in comunità fino a creare società basate sul tramandarsi di tradizioni e cultura di generazioni in generazioni. Colui che veniva chiamato “straniero” ed era al di fuori della società d’appartenenza dell’individuo era visto come “diverso” in quanto non aveva, in sé, concetti e cultura della società.
Chi è quindi l’Altro? L’Altro è il diverso, chi non rispecchia le stesse nostre credenze, chi non conosciamo. Un orientale, per noi occidentali, è uno straniero, è diverso da noi non esteriormente quanto interiormente; la sua cultura di appartenenza è diversa dalla nostra ed è qui che entra in gioco il conflitto. È qui che si può parlare di “paura dell’Altro” in quanto, specie nella storia più recente, abbiamo iniziato a vedere nell’Altro un limite a ciò che siamo; uno straniero con le proprie tradizioni e credenze non è più visto come una possibilità di “arricchimento” culturale ed umano bensì come un limite alle nostre credenze e tradizioni.
A tal proposito non possiamo non introdurre la parola “immigrato” in quanto la paura dell’Altro è diventata una bassa tolleranza agli immigrati poiché siamo terrorizzati da una (poco probabile) invasione.
Questa paura, ricapitolando, crea una bassa tolleranza ed una bassa tolleranza, se la affianchiamo ad una pandemia (e quindi alla paura di un contagio) e ad un senso di frustrazione, genera odio e rabbia che vengono, poi, sfogate manifestando aggressività nei confronti di chi è diverso da noi.
Anselm Grün, nel libro “Ero straniero e mi avete accolto: come affrontare la paura dell’Altro”, spiega che non si può superare l’odio contro gli stranieri solo con appelli moralistici.
In conclusione la paura dell’Altro è il limite all’integrazione umana, un limite all’accrescimento della percezione che si ha di sé stessi e della società in cui si vive.
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